sabato 23 settembre 2017

Opere da viaggio: un lavoro a quattro mani



Opere da viaggio è un lavoro a quattro mani con una tecnica che un po’ semplicisticamente si potrebbe definire collage. In realtà più propriamente sono opere-oggetto che ibridano fotografie (provini e frammenti fotografici) con disegni, schizzi e altri possibili materiali vari; il tutto montato su ex contenitori trasparenti per diapositive. La suggestione di una forma libro è stata inoltre accentuata da un retro-copertina ricavato da elementi vari (un’intera stampa fotografica, cartine geografiche, ecc.). L’origine di questo lavoro si può far partire da una produzione di ‘scatole poetiche’ all’interno di un’installazione “Omaggio a Primo Moroni: Philip Dick i centri sociali e gli ombrelli di luce” (qui)  al Centro Sociale Leoncavallo nel 1999. Una ricerca proseguita poi nei piccoli collage “Opere di piccolo formato” alla Galleria degli Artisti nel 2012 (qui) e nella mostra “Noi non camminiamo mai soli” (qui) alla libreria Isola nel 2015. Piccole opere, piccoli oggetti che richiedono una certa attenzione e una lentezza nella visione da cui le tendenze moderne dell’arte spesso tendono ad allontanarci. 


Ma cosa significano e, soprattutto, come li fate? Ci viene spesso chiesto. C’è un progetto iniziale? Come si dispiega il racconto, sempre che un racconto vi sia, soggiacente, all’intersecarsi di queste immagini? La nostra ricorrente risposta, in questi casi, è che il significato lo dà chi osserva l’opera; il racconto chi la legge in quel momento. Noi abbiamo operato per suggestioni, per assemblaggi istintivi, spontanei, costringendoci a selezionare in modo sempre più stringente fino al risultato che avvertiamo più giusto. Solo istinto allora? Puro inconscio? Sì, tenendo conto però che l’inconscio di chi lavora artisticamente è il prodotto di una storia personale di lavoro costellata di studi, tentativi, errori, prove e ancora prove. Un piccolo o enorme, a secondo dei casi, patrimonio di lavoro che fa passare per istintivo e immediato un modo di operare che in realtà è ben più mediato e meditato. E il racconto, la narrazione che si avverte scaturire da queste immagini assemblate assieme? È solo ausilio di chi osserva e legge dall’esterno? E per i produttori, per chi fa l’opera? Anche chi fa può in una certa misura (se pur con più difficoltà) distanziarsi e offrirsi al libero gioco delle interpretazioni, chiarendo altresì che le proprie non possono che essere, paradossalmente, più opinabili, in quanto provenienti proprio da chi è coinvolto come autore. L’autore fa, non sa; offre un significato che gli sfugge e che può ritornargli solo attraverso quei significati plurimi e diversi tra loro che osservatori esterni siano in grado, e vogliano, offrirgli. 




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