martedì 6 giugno 2017

Andrea Maiello: "Pinocchio: un libro parallelo di Giorgio Manganelli" 2^ Parte

Urbino: Casa della Poesia

Un altro tema di Pinocchio che Manganelli porta in superficie nelle sue pagine “parallele” è quello della morte: il burattino di Collodi, infatti, si trova spesso in condizione di rischiare la propria vita - ed è una condizione bizzarra, a ben pensarci, per un personaggio che a rigore non possiede nemmeno un corpo mortale. Il corpo di Pinocchio ha una sensibilità misteriosa, che obbedisce a leggi imprevedibili: scopriamo, quando Maestro Ciliegia lo lavora con la pialla e con la scure, che è capace di provare solletico e dolore, ma non mostra alcuna sofferenza quando, tre capitoli dopo, il burattino si addormenta con i piedi sul caldano e il fuoco glieli brucia completamente. Non è del tutto chiaro se Pinocchio possa morire: quel che è certo è che la morte lo sfiora di continuo, e Manganelli trova così interessante questa prossimità di Pinocchio con la morte da arrivare a congetturare che l’intero romanzo sia in realtà costruito attorno a questo tema occulto. Marisa Bello e Giuliano Spagnul sembrano seguirlo in questa lettura dedicando un gruppo di tavole ad alcuni personaggi che sono particolarmente legati a questo tema.

Mangiafoco


Il primo di essi è Mangiafoco, il burattinaio del Gran Teatro dei Burattini, deciso a utilizzare  il legno di Pinocchio per portare a termine la cottura della sua cena. Il nome del burattinaio è già evocativo del rogo che attende Pinocchio: il fuoco che qualche capitolo prima ha divorato i piedi del burattino minaccia ora di bruciarlo completamente. La morte sfiora Pinocchio per la prima volta, ma è una morte teatrale, recitata, come si conviene al luogo - un teatro - e ai personaggi coinvolti - un burattinaio e dei burattini. Mangiafoco è un Orco, ma, scrive Manganelli, «patisce una sorta di dicotomia. Orco deve esserlo, si sa, ma della sua parte d’Orco si servirà a beneficio dell’inconfessabile fondo di brav’uomo». Ne nasce quella che il parallelista interpreta come una recita improvvisata e insieme già scritta: nel momento in cui Pinocchio accetta la morte, si adegua alla parte dell’eroe e viene graziato, come impongono i cliché teatrali: «forse nemmeno Mangiafoco sperava tanto», conclude Manganelli.

Il grillo parlante



Il secondo personaggio è il Grillo. Questa volta la morte non è minacciata, ma inflitta: Pinocchio è così infastidito dai rimproveri del Grillo-parlante da uccidere il pedante insetto assestandogli una martellata in testa. Questo gesto sembrerebbe l’atto conclusivo della «storia di Pinocchio col Grillo-parlante» (così la chiama Collodi nella rubrica del capitolo IV). Ma il Grillo è, evidentemente, un personaggio più complesso di quanto sembri: la sua ombra torna dalla morte, nel capitolo XIII, per cercare di fermare Pinocchio ed impedirgli di raggiungere il Campo dei Miracoli. Pinocchio non è sorpreso di rivedere il Grillo; il lettore adulto, d’altra parte, non può che trovare inquietante questo ritorno dall’aldilà. Si fa strada il sospetto che questo ambiguo personaggio sia da sempre compromesso con la morte e che, al di sotto della sua irrefrenabile vocazione pedagogica fatta di frasi fatte e luoghi comuni, si nasconda qualcosa di più misterioso. Il dubbio si fa certezza nella lettura di Manganelli, che trova nel «fioco monito del grillo» la conferma del fatto che la destinazione ultima di Pinocchio non sarà il Campo dei Miracoli, ma «il paese dei morti». Il Grillo è fedele a se stesso e continua a consigliare Pinocchio, ma stavolta «dà il consiglio di tutti i morti a tutti i vivi, il consiglio disperato e impossibile: “ritorna indietro”».




Il gatto e la volpe

È un monito che Pinocchio non ascolterà. Il burattino proseguirà il suo cammino e incontrerà  nel bosco ancora una minaccia di morte: gli assassini. La loro identità non ci è mai esplicitamente svelata; facile però indovinare, dietro il travestimento dei cappucci, il Gatto, tradito dalla sua tendenza all’ecolalia nei dialoghi e dal fatto che, durante la collutazione con Pinocchio, perda uno dei suoi zampetti, troncato da un morso assestatogli dal burattino. Manganelli non trova troppo sorprendente che Pinocchio non «abbia sospetti, neppure più tardi, sui due “assassini”», perché «se potesse mettere insieme gli indizi Pinocchio sarebbe altra cosa; non sarebbe quell’essere impegnato in una capziosa collaborazione con l’errore, l’equivoco, la scelta sbagliata». Identificato il Gatto, nutriamo pochi dubbi sull’identità dell’altro assalitore. È in questa loro veste di assassini, più che in quella di suadenti truffatori, che Marisa Bello e Giuliano Spagnul sembrano rappresentarli nella tavola intitolata Il Gatto e la Volpe: nel quadro, infatti, vediamo il burattino sollevato da terra, particolare che allude all’impiccagione che Pinocchio subirà per mano dei suoi due aguzzini, immerso in una tenebra che sembra evocare il «buio così buio, che non ci si vedeva da qui a lì»  in cui avviene l’aggressione a Pinocchio. Nell’economia del racconto, il Gatto e la Volpe sono dei veri e propri strumenti di morte; il loro ruolo è unico e speciale: sono infatti gli unici due personaggi che riescono, in qualche modo, ad uccidere Pinocchio.

La fata alchemica



Ma prima che i due assassini riescano nel loro intento, Pinocchio tenta la fuga. È in questa circostanza che incontra per la prima volta un altro personaggio centrale del romanzo, a cui i due artisti dedicano addirittura due tavole. Si tratta della Fata - che a questo punto della storia si presenta a Pinocchio nella veste di «bella Bambina coi capelli turchini». Manganelli, nel Pinocchio parallelo, conia per lei l’epiteto di «Stregofata», a sottolinearne l’ambiguità di fondo: personaggio enigmatico e arcano, la Fata imprigiona Pinocchio in un gioco di sevizie e dolcezze, di condanne e perdoni che proseguirà, da qui in poi, fino alla fine del libro. Manganelli la chiama anche, altrove, Fata alchemica, ed è così che Marisa Bello e Giuliano Spagnul intitolano una delle loro tavole. La Fata-bambina si rivela, fin dalla sua apparizione, in intimità con la morte: si rifiuterà infatti di aiutare Pinocchio che bussa alla sua porta sostenendo di essere morta e, così facendo, consegnerà il burattino agli assassini e alla sua fine. «Possiamo supporre», si chiede Manganelli, «che la Bambina sia la morta signora dei morti, la lunare regina delle tenebre? Essa è gelida, ignara, indifferente; morta da sempre, non capisce la morte, né il terrore di Pinocchio».
Il Gatto e la Volpe acciuffano finalmente Pinocchio e lo impiccano: è un’esecuzione dal sapore evangelico (molto è stato scritto sulle possibili letture cristologiche di Pinocchio), che si chiude con un’invocazione al padre («Oh babbo mio! se tu fossi qui!…») chiaramente allusiva. Nel romanzo di Collodi la morte - il Grillo ce l’ha insegnato - sa essere provvisoria, e questa morte in particolare, così simile a una Passione, già promette una resurrezione: ritroveremo Pinocchio, vivo e vegeto, nel capitolo seguente, salvato dalla Fata e accudito, tra altri medici, proprio dal Grillo-parlante che, chiosa Manganelli, «dalla morte nella stanzetta di Geppetto, si è fatto un gran viaggiatore».

La prima parte qui: http://marisa-bello-e-giuliano-spagnul.blogspot.it/2017/05/andrea-maiello-pinocchio-un-libro.html 
(a breve la terza e ultima parte)

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