giovedì 22 giugno 2017

Andrea Maiello: "Pinocchio: un libro parallelo di Giorgio Manganelli" 3^ parte

Urbino: Casa della Poesia

Un terzo tema che attraversa le tavole di Marisa Bello e Giuliano Spagnul - e che permette di dividere i quadri in tre insiemi, tutti costituiti da quattro tavole - è quello della nascita. Se non stessimo parlando di Pinocchio, sarebbe stato naturale partire da qui: la logica impone che la nascita sia la premessa necessaria per la metamorfosi e la morte. Pinocchio, tuttavia, non è un libro che segue la logica, e il suo intreccio rende precaria ogni gerarchia. A ben pensarci la nascita di Pinocchio è già una metamorfosi: Geppetto costruisce un burattino, ma il pezzo di legno che compare all’inizio del romanzo può ascoltare, parlare, sentire dolore e solletico. Ha perfino dei precisi tratti caratteriali, visto che è dalla sua insolenza che nasce il bisticcio tra maestro Ciliegia e Geppetto. E ancora: nel finale del romanzo Pinocchio si addormenta burattino e si sveglia bambino in carne e ossa, ma la presenza del vecchio burattino inanimato sulla seggiola rende difficile capire da dove provenga il suo nuovo corpo e cosa sia accaduto di preciso (a rigore, il legno non si è trasformato com’era accaduto nel Paese dei Balocchi, tant’è che nel finale abbiamo due Pinocchio, uno di carne e uno di legno). Metamorfosi, morti, nascite si legano in modo così stretto, nel testo di Collodi, da rendere spesso difficile un’analisi separata dei tre temi.

C'era una volta


            La prima tavola in cui è possibile rintracciare il tema della nascita si intitola C’era una volta. Il titolo riprende l’incipit del romanzo, in cui Collodi, dopo aver utilizzato la formula introduttiva tradizionale delle fiabe, non resiste alla tentazione di destabilizzare il lettore presentando un protagonista del tutto insolito («C’era una volta…. — Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori. — No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno»). È significativo che per la tavola sia stato scelto questo titolo, perché sottolinea bene, mi pare, la volontà di rappresentare non tanto la nascita del burattino (pur presente nel quadro), quanto l’origine della narrazione, che sarà la vera protagonista del libro parallelo. Manganelli si sofferma con attenzione su questa «frode iniziale», che «ha dato accesso sì al luogo della fiaba, ma di fiaba diversa»: proprio su questo re assente inizierà infatti a prendere forma la prima storia parallela. Ma non per questo dimentica il pezzo di legno: «quel legno», scrive Manganelli, «è materia che chiama la distruzione e la cenere, e insieme vuole diventare e trasformarsi». L’inizio della storia racchiude già tutto il complesso impianto simbolico che sarà al centro del libro parallelo, e porta in sé, in nuce, quella vocazione alla morte e alla metamorfosi che inseguirà Pinocchio per tutto il romanzo.

Nel paese di Acchiappacitrulli


            Acchiappacitrulli è la tavola dedicata al luogo in cui Pinocchio si reca, nel capitolo XIX, per denunciare il furto delle monete d’oro che il Gatto e la Volpe hanno realizzato ai suoi danni. Nel mondo alla rovescia di Acchiappacitrulli, essere un «povero diavolo» è una colpa: per questo Pinocchio, nel momento in cui chiede giustizia, viene arrestato e condannato a quattro mesi di prigione. Sarà liberato in seguito a un’amnistia, ma solo dopo aver assicurato al proprio carceriere di essere un «malandrino» e di avere quindi diritto alla scarcerazione. Come le morti e le metamorfosi, anche le nascite, in Pinocchio, possono essere simboliche, e dietro questa disavventura di Pinocchio Manganelli intravede una storia parallela. Nel mondo distopico di Acchiappacitrulli Pinocchio vive la sua catabasi, una degradazione dalla quale uscirà rigenerato. Della pena di Pinocchio, osserva Manganelli, «non sappiamo nulla, quasi fosse una sospensione di vita»: tornerà dunque alla vita solo quando la pena avrà fine. Il carcere è, per l’innocente Pinocchio, il contrappasso necessario per accedere simbolicamente ad una nuova vita.

Sapore di madre


            Il tema della nascita è evocato fin dal titolo nella tavola Sapore di madre, la seconda che Marisa Bello e Giuliano Spagnul dedicano alla Fata, uno dei personaggi più affascinanti del libro di Collodi. «Dovunque sia», scrive Manganelli, «in questo libro senza Re, essa è la Regina, la Regina solitaria ed infeconda, la Signora degli animali, la vecchina, la donnina stanca sotto il peso delle brocche, la padrona della Lumaca, la Bambina morta; ma anche, la metafisica adescatrice di un fratellino, un figlio». La Fata è ubiqua, in Pinocchio: anche quando è assente, se ne percepisce la presenza o se ne sospetta l’intervento, spesso mediato dagli animali che mostra di saper governare secondo i suoi desideri. L’oscuro rapporto che lega Pinocchio e la Fata attraversa tutto il Pinocchio parallelo e occupa alcune delle sue pagine più belle. Manganelli riconosce tra Pinocchio e la Fata un legame occulto: la Fata era Bambina ed è cresciuta, a differenza di Pinocchio, che vorrebbe crescere e non può. «Entrambi mancano, dai lati opposti, l’umano» e «questa posizione intermedia, centrifuga, li lega duramente». La vocazione alla maternità della Fata trova un destinatario perfetto in Pinocchio, che non è mai stato generato e che  per tutto il romanzo sarà irretito dalle dolci sevizie dell’unica madre che gli è possibile.

Il pescecane



                L’ultima tavola, intitolata Il Pescecane, è dedicata a uno degli animali più rappresentativi del romanzo di Collodi: è nel ventre di questo pesce, infatti, che si conclude finalmente la ricerca di Geppetto. Ma il  Pescecane è anche uno dei personaggi più terribili, mostruoso fin dalle descrizioni con cui viene evocato nei capitoli precedenti, che lo rappresentano «più grosso di un casamento di cinque piani». il Pescecane è animale brutale e violento: noto tra al Delfino per la sua ferocia, ci viene presentato addirittura con un soprannome («l’Attila dei pesci») che si è guadagnato «per le sue stragi e per la sua insaziabile voracità». Un simile dispensatore di morte appare del tutto agli antipodi rispetto al tema della nascita. Eppure il Pescecane è l’unico personaggio che abbia in un certo senso partorito Pinocchio, portandolo alla luce dal suo ventre. Pinocchio, scrive Manganelli, «è immerso in un corpo, nei suoi umori viscidi; gli è stata imposta un’esperienza fetale, che deve subire […]. Il Pescecane appare come una versione infinitamente fonda della madre, qualcosa di casualmente gravido, gestante degli abissi, bocca divorante navi e vegliardi e burattini, orifizio che, negli stessi singulti della decadenza, assonnatamente genera». Ed ecco che Pinocchio, infine partorito dal Pescecane, torna al mondo mutato nell’animo, pronto finalmente ad assumere il ruolo di figlio nei confronti di Geppetto e della Fata. Il capitolo successivo lo vede prendersi cura di entrambi diligentemente, con abnegazione e spirito di sacrificio: questo parto paradossale - il solo in qualche modo confacente alla sua natura eccentrica - lo restituisce al mondo profondamente cambiato. Rinato, trasformato, o forse in qualche modo già morto: un bambino vero prenderà presto il suo posto e del vecchio Pinocchio non rimarrà che «una reliquia», «una salma». Ma, conclude Manganelli, «quel metro di legno continuerà a sfidarlo».

martedì 6 giugno 2017

Andrea Maiello: "Pinocchio: un libro parallelo di Giorgio Manganelli" 2^ Parte

Urbino: Casa della Poesia

Un altro tema di Pinocchio che Manganelli porta in superficie nelle sue pagine “parallele” è quello della morte: il burattino di Collodi, infatti, si trova spesso in condizione di rischiare la propria vita - ed è una condizione bizzarra, a ben pensarci, per un personaggio che a rigore non possiede nemmeno un corpo mortale. Il corpo di Pinocchio ha una sensibilità misteriosa, che obbedisce a leggi imprevedibili: scopriamo, quando Maestro Ciliegia lo lavora con la pialla e con la scure, che è capace di provare solletico e dolore, ma non mostra alcuna sofferenza quando, tre capitoli dopo, il burattino si addormenta con i piedi sul caldano e il fuoco glieli brucia completamente. Non è del tutto chiaro se Pinocchio possa morire: quel che è certo è che la morte lo sfiora di continuo, e Manganelli trova così interessante questa prossimità di Pinocchio con la morte da arrivare a congetturare che l’intero romanzo sia in realtà costruito attorno a questo tema occulto. Marisa Bello e Giuliano Spagnul sembrano seguirlo in questa lettura dedicando un gruppo di tavole ad alcuni personaggi che sono particolarmente legati a questo tema.

Mangiafoco


Il primo di essi è Mangiafoco, il burattinaio del Gran Teatro dei Burattini, deciso a utilizzare  il legno di Pinocchio per portare a termine la cottura della sua cena. Il nome del burattinaio è già evocativo del rogo che attende Pinocchio: il fuoco che qualche capitolo prima ha divorato i piedi del burattino minaccia ora di bruciarlo completamente. La morte sfiora Pinocchio per la prima volta, ma è una morte teatrale, recitata, come si conviene al luogo - un teatro - e ai personaggi coinvolti - un burattinaio e dei burattini. Mangiafoco è un Orco, ma, scrive Manganelli, «patisce una sorta di dicotomia. Orco deve esserlo, si sa, ma della sua parte d’Orco si servirà a beneficio dell’inconfessabile fondo di brav’uomo». Ne nasce quella che il parallelista interpreta come una recita improvvisata e insieme già scritta: nel momento in cui Pinocchio accetta la morte, si adegua alla parte dell’eroe e viene graziato, come impongono i cliché teatrali: «forse nemmeno Mangiafoco sperava tanto», conclude Manganelli.

Il grillo parlante



Il secondo personaggio è il Grillo. Questa volta la morte non è minacciata, ma inflitta: Pinocchio è così infastidito dai rimproveri del Grillo-parlante da uccidere il pedante insetto assestandogli una martellata in testa. Questo gesto sembrerebbe l’atto conclusivo della «storia di Pinocchio col Grillo-parlante» (così la chiama Collodi nella rubrica del capitolo IV). Ma il Grillo è, evidentemente, un personaggio più complesso di quanto sembri: la sua ombra torna dalla morte, nel capitolo XIII, per cercare di fermare Pinocchio ed impedirgli di raggiungere il Campo dei Miracoli. Pinocchio non è sorpreso di rivedere il Grillo; il lettore adulto, d’altra parte, non può che trovare inquietante questo ritorno dall’aldilà. Si fa strada il sospetto che questo ambiguo personaggio sia da sempre compromesso con la morte e che, al di sotto della sua irrefrenabile vocazione pedagogica fatta di frasi fatte e luoghi comuni, si nasconda qualcosa di più misterioso. Il dubbio si fa certezza nella lettura di Manganelli, che trova nel «fioco monito del grillo» la conferma del fatto che la destinazione ultima di Pinocchio non sarà il Campo dei Miracoli, ma «il paese dei morti». Il Grillo è fedele a se stesso e continua a consigliare Pinocchio, ma stavolta «dà il consiglio di tutti i morti a tutti i vivi, il consiglio disperato e impossibile: “ritorna indietro”».




Il gatto e la volpe

È un monito che Pinocchio non ascolterà. Il burattino proseguirà il suo cammino e incontrerà  nel bosco ancora una minaccia di morte: gli assassini. La loro identità non ci è mai esplicitamente svelata; facile però indovinare, dietro il travestimento dei cappucci, il Gatto, tradito dalla sua tendenza all’ecolalia nei dialoghi e dal fatto che, durante la collutazione con Pinocchio, perda uno dei suoi zampetti, troncato da un morso assestatogli dal burattino. Manganelli non trova troppo sorprendente che Pinocchio non «abbia sospetti, neppure più tardi, sui due “assassini”», perché «se potesse mettere insieme gli indizi Pinocchio sarebbe altra cosa; non sarebbe quell’essere impegnato in una capziosa collaborazione con l’errore, l’equivoco, la scelta sbagliata». Identificato il Gatto, nutriamo pochi dubbi sull’identità dell’altro assalitore. È in questa loro veste di assassini, più che in quella di suadenti truffatori, che Marisa Bello e Giuliano Spagnul sembrano rappresentarli nella tavola intitolata Il Gatto e la Volpe: nel quadro, infatti, vediamo il burattino sollevato da terra, particolare che allude all’impiccagione che Pinocchio subirà per mano dei suoi due aguzzini, immerso in una tenebra che sembra evocare il «buio così buio, che non ci si vedeva da qui a lì»  in cui avviene l’aggressione a Pinocchio. Nell’economia del racconto, il Gatto e la Volpe sono dei veri e propri strumenti di morte; il loro ruolo è unico e speciale: sono infatti gli unici due personaggi che riescono, in qualche modo, ad uccidere Pinocchio.

La fata alchemica



Ma prima che i due assassini riescano nel loro intento, Pinocchio tenta la fuga. È in questa circostanza che incontra per la prima volta un altro personaggio centrale del romanzo, a cui i due artisti dedicano addirittura due tavole. Si tratta della Fata - che a questo punto della storia si presenta a Pinocchio nella veste di «bella Bambina coi capelli turchini». Manganelli, nel Pinocchio parallelo, conia per lei l’epiteto di «Stregofata», a sottolinearne l’ambiguità di fondo: personaggio enigmatico e arcano, la Fata imprigiona Pinocchio in un gioco di sevizie e dolcezze, di condanne e perdoni che proseguirà, da qui in poi, fino alla fine del libro. Manganelli la chiama anche, altrove, Fata alchemica, ed è così che Marisa Bello e Giuliano Spagnul intitolano una delle loro tavole. La Fata-bambina si rivela, fin dalla sua apparizione, in intimità con la morte: si rifiuterà infatti di aiutare Pinocchio che bussa alla sua porta sostenendo di essere morta e, così facendo, consegnerà il burattino agli assassini e alla sua fine. «Possiamo supporre», si chiede Manganelli, «che la Bambina sia la morta signora dei morti, la lunare regina delle tenebre? Essa è gelida, ignara, indifferente; morta da sempre, non capisce la morte, né il terrore di Pinocchio».
Il Gatto e la Volpe acciuffano finalmente Pinocchio e lo impiccano: è un’esecuzione dal sapore evangelico (molto è stato scritto sulle possibili letture cristologiche di Pinocchio), che si chiude con un’invocazione al padre («Oh babbo mio! se tu fossi qui!…») chiaramente allusiva. Nel romanzo di Collodi la morte - il Grillo ce l’ha insegnato - sa essere provvisoria, e questa morte in particolare, così simile a una Passione, già promette una resurrezione: ritroveremo Pinocchio, vivo e vegeto, nel capitolo seguente, salvato dalla Fata e accudito, tra altri medici, proprio dal Grillo-parlante che, chiosa Manganelli, «dalla morte nella stanzetta di Geppetto, si è fatto un gran viaggiatore».

La prima parte qui: http://marisa-bello-e-giuliano-spagnul.blogspot.it/2017/05/andrea-maiello-pinocchio-un-libro.html 
(a breve la terza e ultima parte)