lunedì 29 maggio 2017

Andrea Maiello: "Pinocchio: un libro parallelo di Giorgio Manganelli" 1^ parte

"Parafrasando un detto di Manganelli: 'Non riesco a pensare una vita senza sogni, come mi è impossibile immaginare una moneta che abbia solo il diritto e sia priva del rovescio', potremmo affermare: 'Non riesco a pensare ad una vita senza arte' e, trattandosi di Manganelli, 'mi è impossibile immaginare una vita senza menzogna'.
Amore, quello per l'arte, assolutamente ricambiato: i suoi migliori amici erano pittori, gli unici veramente in grado di 'vedere' e non semplicemente di 'leggere' gli scritti del Manga, il più immaginifico degli scrittori.
Per questo abbiamo voluto (o l'ha voluto il Manga, questo è tutto da definire) riunire tutte o almeno la maggior parte delle opere ispirate ai suoi libri (sempre che, trattandosi di lui, di libri si possa parlare). Opere dell'epoca e attuali. Opere di artisti che hanno letto Manganelli, e da allora non sono stati più gli stessi.     Lietta Manganelli

Le opere esposte sono di: Nanni Balestrini, Paolo Beneforti, Paolo della Bella, Giuliano Grittini, Gloria Leonetti, Giuliana Maldini, Franco Nonnis, Gastone Novelli, Giovanna Sandri, Marisa Bello e Giuliano Spagnul.


Urbino. Casa della Poesia, sala dedicata a Pinocchio

La mostra su “Pinocchio: un libro parallelo di Giorgio Manganelli” di Marisa Bello e Giuliano Spagnul è stata esposta per la prima volta alla Libreria Utopia di Milano nel 2007 e successivamente alla Galleria degli artisti nel 2008. In questa seconda occasione Andrea Maiello (dottore di ricerca in italianistica e autore di alcuni saggi sul Pinocchio di Manganelli) è intervenuto con una serie di paralleli tra l’opera letteraria e le tavole esposte. Qui di seguito riportiamo alcuni stralci dell’interessante intervento:

Italo Calvino scrive che Giorgio Manganelli, nel suo Pinocchio: un libro parallelo, usa l’opera di Collodi «scrivendoci un libro sopra senza cancellare il libro che c’è sotto». È una definizione impareggiabile, che descrive bene il difficile equilibrio con cui Manganelli riesce ad edificare un intero libro sui vuoti: eleggendo a oggetto privilegiato della sua attenzione ciò che Collodi non scrive, Manganelli esplora nuovi itinerari di lettura fino a costruire nuovi rapporti tra i personaggi, a schiudere  significati inattesi e a disegnare trame imprevedibili. In questo percorso, scrive Manganelli, è «tutto arbitrario, tutto documentato»: non ci sono punti fermi, ma solo richiami ed echi da cui, di pagina in pagina, il lettore si lascia attraversare. Rappresentare il libro di Manganelli costituisce quindi, prima di tutto, una sfida, perché significa confrontarsi con un materiale narrativo difficile da dominare, fatto più da larve che da personaggi, più da allusioni che da eventi. È un libro tutto incentrato sul potere della lettura, che si libera con forza tanto maggiore quanto più gli iati e i silenzi del testo di Collodi si fanno marcati. Marisa Bello e Giuliano Spagnul raccolgono molto bene questa sfida, riuscendo pienamente nel difficile intento di rappresentare i silenzi e i vuoti tra cui si fa spazio il testo di Manganelli. Non è impresa facile, perché richiede la misura di “disegnarci sopra senza cancellare il libro che c’è sotto”, per parafrasare Calvino. È una misura che i due artisti riescono a trovare e a non perdere mai, di tavola in tavola; per questo è possibile percorrere le opere di Marisa Bello e Giuliano Spagnul con le stesse strategie con cui è possibile orientarsi nel Pinocchio parallelo: individuando cioè alcuni temi fondamentali e inseguendone gli echi quadro dopo quadro.

alla catena
Metamorfosi
Il tema della metamorfosi è forse quello più rappresentativo della vicenda di Pinocchio: nell’immaginario comune, infatti, la storia di Collodi è prima di tutto la storia di un burattino che diventa bambino. La metamorfosi finale di Pinocchio, dal sapore pedagogico e un po’ stucchevole, è certamente quella che maggiormente rimane impressa nella memoria dei bambini, che, prima ancora di diventare lettori, si sentono raccontare la storia del burattino dagli adulti. Eppure la trasformazione in essere umano non è l’unica trasformazione vissuta da Pinocchio.
La prima delle tavole che fa riferimento alla metamorfosi è Alla catena. Apparentemente sarebbe inappropriato parlare di metamorfosi, perché in questa tavola, come è evidente, è rappresentato il burattino. Tuttavia le metamorfosi, in Pinocchio, avvengono in due modi diversi: ci sono metamorfosi vere e proprie, fisiche, che trasformano il burattino in un essere diverso, e metamorfosi che hanno un valore simbolico o allusivo e che - non meno importanti delle prime, soprattutto agli occhi del parallelista - non intaccano l’aspetto di Pinocchio.  Alla catena rappresenta un episodio in cui Pinocchio è costretto a fare il cane da guardia per sostituire Melampo, il cane di un contadino a cui Pinocchio ha cercato di rubare dell’uva (siamo nel XXI capitolo). Il burattino non cambia fisicamente - non diventa cioè qualcosa di diverso dal legno - ma, messo alla catena, appunto, si trasforma simbolicamente in un animale, e uscirà cambiato da questa esperienza: imparerà che la fame non giustifica una condotta disonesta, che non è bene venire a patti con chi ruba e che non è utile né dignitoso infangare la memoria dei morti. È solo una delle tante trasformazioni che subirà il protagonista, che sembra incapace, nel corso di tutte le sue avventure, di rimanere ancorato a una forma stabile, ad una definizione di se stesso. È, questa capacità “mercuriale” del burattino, una delle doti che più colpiscono Manganelli, che segue Pinocchio nelle sue varie avventure cercando di cogliere il valore segreto e iniziatico di ogni trasformazione. Non sfugge infatti a Manganelli che «Pinocchio è in grado di essere tutto ciò che gli si chiede» e che le sue trasformazioni «lo interpretano e vogliono essere da lui interpretate; come accade delle trasformazioni che non avvengono: ad esempio, diventar scolaro, o burattino della compagnia drammatico vegetale».

il pescatore verde
Anche la tavola intitolata Il pescatore verde evoca un episodio che Manganelli annovera tra le metamorfosi di Pinocchio. Siamo nel XXVIII capitolo, in cui il burattino corre il rischio di essere messo in padella dal pescatore verde, indifferente alle proteste del povero Pinocchio, che viene scambiato, tra acciughe e naselli, per un raro esemplare di “pesce burattino”. L’episodio, per un lettore tradizionale, risulta più comico che significativo: non è così, però, per il parallelista, che non può sottovalutare una simile regressione a pesce - per Manganelli, infatti, già la sostituzione di Melampo aveva costituito «il primo passo degradante verso la condizione umana». E non è un caso (almeno per Manganelli) che anche in questo episodio vi sia la presenza di un cane, Alidoro, che, alla fine, salverà il burattino dalla padella. La classificazione del pescatore verde è letta da Manganelli come una fase rituale che anticipa di poco un’ulteriore «trasformazione simbolica». Infarinato per la frittura, Pinocchio pare, scrive Collodi un «burattino di gesso»: essi, chiosa Manganelli, «nella gerarchia burattinesca erano assolutamente imparagonabili, infimi, a petto dei burattini di legno». Secondo Manganelli, quindi, «prima di essere gettato nell’olio bollente, Pinocchio subisce una degradazione simbolica».


il paese dei balocchi
Il tema della metamorfosi attraversa altre due tavole di Marisa Bello e Giuliano Spagnul. Si tratta di due opere che, quasi bilanciando idealmente le precedenti, sono dedicate a trasformazioni che coinvolgono il corpo del burattino in senso proprio. Nella tavola intitolata Paese dei balocchi è rappresentato il celebre episodio del capitolo XXXII in cui Pinocchio, durante il soggiorno al Paese dei balocchi, si trasforma in ciuco. È un episodio che tutti ricordiamo, perché rappresenta un perfetto contrappasso per il burattino che ha marinato la scuola per seguire Lucignolo. Pinocchio è un libro che, prima ancora di essere letto, ci viene raccontato dagli adulti, che enfatizzano volentieri una trasformazione che sembra punire la negligenza di un burattino che ha marinato la scuola per seguire Lucignolo. L’attenzione di Manganelli è naturalmente attratta da ben altro: il parallelista sottolinea immediatamente e con solennità, nell’incipit  del capitolo, che «Pinocchio è sulla soglia della prima trasformazione corporale», che lo porterà ad attraversare la soglia, mai prima varcata, che divide il mondo vegetale da quello animale.

la morte di Pinocchio

La seconda tavola dedicata a una metamorfosi corporale è quella che racconta l’ultima trasformazione di Pinocchio: quella da burattino a bambino. È senza dubbio la metamorfosi più celebre dell’intero romanzo, ma allo stesso tempo la più controversa. Tralasciando le ragioni filologiche che portano a sospettare di questo finale (Collodi scrisse di non ricordare di aver chiuso in questo modo il libro), alla metamorfosi conclusiva di Pinocchio il lettore può reagire in due modi: salutare il nuovo corpo di bambino come il premio finale per la buona condotta del protagonista, o considerare il burattino abbandonato sulla sedia come una innocente vittima sacrificale. Manganelli, dal canto suo, scrive esplicitamente che «la forma della trasformazione per noi è la morte: e le ultime righe, che trattano della trasformazione di Pinocchio, raccontano la morte di Pinocchio»: ecco allora che non c’è titolo più appropriato, per la tavola dedicata alla metamorfosi finale del burattino, di quello scelto da Marisa Bello e Giuliano Spagnul: La morte di Pinocchio.